Schiava della perversione

Non le importava di essere umiliata. Era la strada che aveva scelto e nessuna pistola le era stata puntata in testa per prendere quella decisione.
Aveva deciso di fare la schiava.
I suoi padroni erano quasi sempre uomini molto ricchi dai desideri troppo dominanti per essere esposti alle loro mogli. Lei serviva come valvola di sfogo per quelle ossessioni compulsive.
“Continua così…” disse il suo padrone, masturbandosi.
Molte donne avrebbero pianto al solo pensiero di doversi abbassare a fare ciò che lei stava facendo.
Dal suo culo spuntava uno spolverino che le era stato conficcato ben dentro l’ano. Sembrava la coda di un cane.
Veronica era intenta a leccare la tavoletta del bagno, mentre il suo padrone la guardava, facendosi una sega.
“Se hai sete, bevi pure un po’ d’acqua del cesso.” disse.
“Agli ordini padrone.”
Infilò la faccia dentro il water e iniziò a leccare l’acqua stagnante. Cercava di fare più rumore possibile perchè era perfettamente consapevole del fatto che fosse proprio quello a far eccitare il suo cliente.
Il padrone si avvicinò lentamente e tirò lo sciacquone, lavandole completamente la faccia.
Il tutto stava nell’umiliarla in più modi possibili ai fini della soddisfazione del piacere più particolare dell’animo umano: la cattiveria.
“Ti piace essere lavata con l’acqua dello scarico, troia?”
“A me piace tutto ciò che piace a lei, padrone.” bofonchiò fingendo di soffocare per via dello sciacquone.
“Mettiti in ginocchio.”
Veronica ubbidì e si mise in ginocchio. In quella posizione, lo scopino che aveva infilato su per il culo le dava un po’ di fastidio, ma faceva tutto parte del gioco. La sofferenza era il motore intrinseco di quella fantasia perversa.
Il padrone cercò di abbassare il più possibile il suo cazzo eretto. Veronica era molto bella e vederla umiliata in quella maniera lo faceva eccitare come un matto.
“Apri la bocca… sai già quello che ti aspetta, vero?”
“Sì padrone. Era nei patti e io rispetto sempre i patti.”
“Certo. Perchè sei una puttana.”
La pipì uscì dal suo cazzo centrandole un occhio. Veronica li chiuse entrambi dopo quel dolore lancinante, mentre il piscio le copriva la faccia, i capelli e infine la bocca.
Ci mettevano sempre un po’ per prendere la mira e fare centro in bocca.
Il sapore dell’urina era amarognolo. Non la beveva tutta, anzi la maggior parte la teneva in bocca e la rigettava per sporcarsi di più, ma alla fine dei giochi, beveva forse un bicchiere di piscio in tutto.
Era una cosa disgustosa, ma le era sempre piaciuto il piscio e trovare quel lavoro era stato quasi un modo per seguire una sua vocazione che nel mondo reale era vista come folle ed estremamente negativa.
“Scodinzola con lo scopino, cagna!” tuonò il padrone.
Veronica iniziò a scodinzolare, mentre l’urina le riempiva la bocca a fiotti.
Quando sua madre aveva scoperto le peculiarità del suo lavoro era impazzita e da quel momento avevano smesso di avere un rapporto.
Anche lei era una madre e doveva fare tutto ciò che era in suo potere per dare a suo figlio ciò che meritava; anche bere piscio di uomini molto ricchi per cifre esorbitanti.
“La cagnolina ha sete di pipì.”
“Eccoti il tuo piscio cagna di merda.”
Dopo esserselo scrollato per bene, si avvicinò a Veronica. Glielo prese in bocca per crucciarglielo un po’.
Non era un’amante dei pompini. Preferiva quasi l’urina al cazzo, ma anche quello era lavoro.
“Adesso rotolati nel piscio, cagna.” ordinò il padrone.
Veronica si staccò dall’uccello del suo padrone e iniziò a rotolarsi nella pipì, perdendo quel briciolo di umanità che ancora era riuscita a conservare.
Il padrone sborrò, masturbandosi.
Era una vita davvero strana la sua.

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