Un nonno fortunato

Mario aveva ormai raggiunto quasi i settanta. Per quel fine settimana la famiglia si sarebbe riunita per festeggiare il fatidico sette-zero e nella grande casa di campagna i preparativi stavano marciando secondo i ritmi. Suo figlio, Marco, sarebbe arrivato quella sera con moglie e figlia, avrebbero dormito qualche giorno lì e poi domenica sera sarebbero ripartiti lasciando nuovamente l’anziano uomo e la moglie nuovamente da soli. Per diverso tempo i due avevano proposto ai giovani di trasferirsi lì in pianta stabile ma, per ora, quelle richieste avevano trovato sempre una risposta negativa per il lavoro di Marco in città.
“Sei pronto caro?” chiese Nora, la moglie di Mario, domani nostro figlio arriverà.
“E’ tutto pronto,” disse lui annuendo. In realtà immaginava che dopo aver accolto il figlio con le due al seguito si sarebbe ritirato nei campi a finire di preparare la terra per la semina per cui, il risultato finale del lavoro, non gli interessava poi granchè. “Buona notte,” disse alla moglie.
“Notte,” rispose di rimando spegnendo la luce e facendo piombare la camera nel buio.
La mattina dopo, come sempre, i due si svegliarono di buon mattino. Si scambiarono il buongiorno poi scesero in cucina per la colazione. Fuori, sull’aia, il sole già splendeva annunciando alle porte una giornata di calda fine primavera. I due coniugi rimasero al tavolo lui a vedere il telegiornale e lei a rammendare dei vecchi abiti quando si sentì un lieve stridore di gomme provenire da fuori. “Sono arrivati!” esultò Nora alzandosi quanto più velocemente la sua schiena le consentisse. “Andiamo.”
Entrambi uscirono fuori. Una Punto bianca era parcheggiata in mezzo allo spiazzo, la prima portiera ad aprirsi fu quella del conducente da cui uscì un uomo sulla quarantina dall’aspetto gonfio ma in saluto che, dopo aver visto i due anziani, sorrise loro e disse a gran voce: “guardate un po’!”
Nora raggiunse Marco e lo abbracciò, più lento Mario si avvicinò all’auto reggendosi la schiena con la mano sinistra. Sugli occhi contornati da rughe profonde il cappello da contadino in paglia pregno dell’odore di sudore delle giornate passate sotto il sole. “Come stai?”
Marco guardò il padre, “come stai tu piuttosto.”
Lo sportello del passeggero si aprì per metà e dallo spiraglio ne uscì una lunga gamba dalla carnagione chiara, poi lo sportello finì di aprirsi e ne emerse Galina, la moglie di Marco. I due si erano conosciuti durante un soggiorno in Croazia e col tempo Galina, di origine russa, si era trasferita in Italia e aveva sposato Marco. “Come stai papi?” Chiese sorridente abbracciando Mario. “Tu stai bene, si?”
Mario le accarezzò la schiena. “Tutto bene, tu Galina?”
“Noi bene”. La donna si staccò e si girò per salutare Nora. “Ciao mamma Nora, anche tu come stai?”
“Bene. Bene,” rispose la donna che non aveva mai mancato di dimostrare al figlio come non approvasse la scelta di sua moglie.
“Vieni fuori Caterina,” disse la giovane bionda con il suo accento dell’est. “Saluta i nonni.”
Dalla portiera posteriore Caterina uscì con in mano il cellulare e i suoi occhi piantati sullo schermo. “Ciao nonni,” disse abbozzando un sorriso.
“Potresti fare meglio…” disse Marco constatando la scortesia della figlia.
“Ma no,” si intromise Mario, “lascia perdere, sono ragazzi. Piuttosto, se pensassimo a sistemare le vostre cose in casa ora?”
Tutti annuirono tranne Caterina che tornò ad essere completamente assorbita dal suo personale mondo virtuale. Marco e Galina trafficarono con i trolley spostandoli dal baule al piccolo ingresso che conduceva alle scale per il piano superiore. Mentre i due lavoravano Nora si accostò alla nipote nel tentativo di fare quattro chiacchiere e, lasciato in disparte, Mario si accorse di come la sua nipote era cresciuta e di quanto aveva preso dalla mamma: Galina aveva i capelli biondi e un viso secco con labbra carnose e naso appuntito, il suo fisico era asciutto nonostante i seni floridi che le scendevano fino a metà ombelico. Di contro Caterina era diversa dalla madre solo per il colore castano dei capelli e del fisico un po’ rotondetto. Nel crescere, constatò il vecchio, la ragazza stava assomigliando sempre di più alla madre e meno al padre.
Mentre in casa i nuovi arrivati si sistemavano nelle camere che erano state loro preparate il giorno prima, Mario si avvicinò al gruppo e disse: “scusate se non mi fermo ma devo finire con il lavoro nei campi, ci vediamo stasera per cena.”
Lo sguardo di tutti, Caterina esclusa, si concentrò su di lui in una sorta di silenzio imbarazzato. Fu Nora a prendere la parola: “non pensarci neanche per scherzo, il lavoro può aspettare domattina. Per una volta che abbiamo ospiti tu non ti muovi di certo!”
“Ma io…” cercò di dire Mario. “Devo preparare per la semina….”
Nora però non si fece irretire: “domattina ho detto!”
Vedendo che la situazione non sembrava poter migliorare l’uomo si rassegnò. “E va bene,” acconsentì. “Ma solo perchè è il mio compleanno.”
Detto questo tutti tornarono a svolgere i propri compiti e, con il lavoro di tutti, le stanze furono pronte in meno di un’ora.
“Almeno ad imbottigliare il vino posso andare?” Chiese Mario.
Marco guardò sua madre poi di nuovo suo padre. “Direi di sì,” rispose con un sorriso. “Anzi, perchè non porti Caterina con te? Magari è la volta che si stacca da quel benedetto schermo.”
“Come?” chiese la ragazza alzando gli occhi dal telefono.
“Vai con il nonno ad aiutarlo con il vino,” disse nuovamente Marco. “E senza storie.”
La ragazza annuì accompagnando il movimento del capo con una scrollata di spalle. Sorridente, Mario si avvicinò a lei e disse: “andiamo dai.”
Lasciata la casa i due attraversarono l’aia rettangolare contornata da reti verdi e piccole siepi per entrare in una sorta di abitazione diroccata adibita agli usi più disparati. “Entra,” disse l’uomo facendole strada e mostrandole quella che in realtà non era nient’altro che una grande stanza dai muri scalcinati che odorava di terra e polvere in mezzo alla quale si trovavano due sgabelli, damigiane di vino e diverse bottiglie di diversa fattura in attesa di essere riempite.
L’uomo si accomodò su uno degli sgabelli e fece segno alla nipote di raggiungerlo su quello libero. “Ti faccio vedere come si fa.”
Mario prese un lungo tubo di gomma inserito in una delle damigiane, succhiò a lungo poi sputò un po’ di vino accompagnando il gesto con due colpi di tosse. “Ci siamo,” disse mentre il liquido rosso cominciava a sgorgare dal tubo all’interno uno dei due fiaschi. “E’ semplicissimo.”
Dopo alcune bottiglie l’uomo riempì per metà un bicchiere e lo sorseggiò. “Ne vuoi uno anche tu?”
Caterina, stufa del suo telefono, annuì.
Preso il bicchiere lo trangugiò d’un fiato non sapendo quanto potesse essere più forte il vino fatto dai contadini. “Ancora nonno,” disse.
L’uomo riempì il bicchiere e lei questa volta lo buttò giù in tre sorsate. “Davvero buono.”
“Sì.” Mario riprese ad imbottigliare.
Quando la ragazza ebbe svuotato il bicchiere chiese un terzo giro e l’uomo la guardò per capire se fosse il caso o meno. Nel vederla in viso non le sembrava alticcia o altro, sapeva che aveva vent’anni e quindi di certo aveva passato l’età per bere. “Cosa mi dai in cambio?” Chiese per scherzo.
“Vuoi un bacio?”
L’uomo si sporse verso la nipote: “va bene.” Mentre la bocca di lei si avvicinava alla sua guancia Mario sentì passi dietro di lui si voltò e vide entrare Galina.
“Cosa fate?” domandò la bionda.
“mamma devi sentire che vino che ha il nonno.”
“Posso?” chiese lei.
Mario annuì ma prima che potesse dire qualcosa fu Caterina ad intromettersi: “sì ma anche tu devi dargli un bacio.”
Galina sorrise. “Va bene.” Si chinò e baciò Mario sulla guancia opposta a dove l’aveva baciata Caterina.
I tre bevvero un paio di bicchieri poi uscirono da lì e le due donne tornarono ad occuparsi delle faccende solo un po’ più accalorate dal vino e più ridanciane.

La serata passò con una lunga cena condita di chiacchiere, possibilità del futuro e qualche discorso lasciato lì a mezzo in attesa del tempo giusto. I due anziani avevano infatti intenzione di riproporre al resto della famiglia l’idea di trasferirsi lì in campagna con loro ma di certo non lo avrebbero chiesto alla prima sera del loro ritorno. Verso mezzanotte tutti si coricarono stanchi ma soddisfatti di quel primo giorno.
Al mattino Mario fu il primo a scendere, mise su la moka e attese fuori al sole che il caffè cominciasse a salire. Già dalle prime ora di luce la giornata prometteva di essere calda e soleggiata e lui, per andare nei campi, aveva già indossato la sua camicia a quadri scolorita dal sole e una vecchia salopette consunta con le bretelle che gli circondavano le spalle secche. Tornò in casa e si concesse un caffè veloce poi pulì la macchinetta e la ricaricò nuovamente per chi sarebbe sceso dopo di lui, prese il suo cappello e andò a lavorare.
Quando fu abbastanza lontano da casa cominciò a fischiettare, con la vanga adagiata sopra la spalla sinistra raggiunse una porzione di terra brulla e cominciò a lavorare dopo aver acceso una radiolina portatile che teneva in una delle tasche. Il campo si trovava a circa duecento metri della casa per cui tutto ciò che avrebbe fatto era sicuro che non avrebbe dato noia a nessuno difatti era solito canticchiare quando veniva passata una canzone di suo gusto oppure, e succedeva spesso, urlare commenti ai conduttori del radiogiornale come se questi potessero effettivamente sentirlo.
Il campo si estendeva per diverse decine di metri fino ad un argine ai piedi del quale usciva una gomma sbiadita dal tempo fissata ad una valvola, l’uomo si recò lì e aprì il rubinetto per riempire l’annaffiatoio da 10 litri che aveva portato con sé. Appena pronto tornò indietro e si concesse dieci minuti di riposo sotto alcuni olivi che delineavano una striscia di terra tagliando l’area in senso longitudinale.
Mentre si preparava a tornare al lavoro si sentì chiamare, alzò lo sguardo e vide arrivare verso di lui Galina e Caterina con un paniere. “Ciao Mario,” salutò la bionda. “Siamo venute a portarti qualcosa da mangiare.”
“Anche da bere,” aggiunse la più giovane con in mano il suo telefono.
Galina indossava una canotta bianca e un paio di corti shorts che le arrivavano poco sotto l’inguine mentre Caterina una maglietta a mezze maniche azzurra e una corta gonna vaporosa del medesimo colore.
“Grazie,” disse l’uomo facendo loro segno di raggiungerle sotto l’albero. “Vediamo cosa abbiamo qua…” dentro al cesto c’erano mele e pere e una bottiglia di bianco freddo. L’uomo la aprì e prese alcuni bicchieri di plastica che aveva portato lì qualche giorno prima, ne riempì mezzo e lo trangugiò. “Prendete,” disse alle donne offrendone loro uno a testa quasi pieno.
Entrambe bevvero e diedero il bicchiere vuoto all’uomo. “Adesso dobbiamo andare,” proruppe Galina, “ma ci vediamo a casa.”
“Restate ancora un po’ suvvia, non penso ci sia qualcosa di tanto importante da fare a casa.”
Caterina fece spallucce e si sedette sull’erba. Galina guardò il suocero poi acconsentì: “penso posso restare un dieci minuti.”
Mario era seduto davanti alle altre due. “Brava!” convenne sorridete. “E ora, un altro bicchiere.”
Le donne bevvero un secondo bicchiere quasi pieno. “Certo che è forte,” disse la bionda.
“Sembra perchè è un vino artigianale, non ci sono dentro tutte le porcherie di quelli che trovi al supermercato.” Mario riempì un terzo giro e tutti sorseggiarono il vino questa volta con più calma.
“Mamma che caldo,” disse Caterina.
Mario indicò l’annaffiatoio. “C’è dell’acqua pulita lì, puoi usarla per rinfrescarti.”
Caterina annuì con la testa, prese il pesante recipiente di plastica e anzichè usare le mani per intingere il liquido se ne vuotò un po’ sul viso ma, dato il troppo peso per lei, sbagliò la misura e si ritrovò completamente bagnata fino alla vita dei pantaloni.
Mario e Galina risero di gusto. “Che frana!” Disse la bionda.
Caterina, irritata, prese l’annaffiatoio e facendo passare l’acqua dal beccuccio inondò la madre inzuppandola quasi per intero. “Così impari!”
Le due donne cominciarono a bisticciare tirando l’annaffiatoio come se fosse l’oggetto di una contesa, l’uomo, ancora seduto, era lì a vedere le scena notando come la canotta e la maglia si fossero inzuppate e ora fosse perfettamente appiccicate al corpo delle due mostrando perfettamente le linee e i dettagli dei loro reggiseno.
“Perchè non vi togliete i vestiti bagnati? Possiamo appenderli ai rami più bassi così non tornate a casa zuppe,” tentò Mario caricato dal tasso alcolico.
Le due si guardarono poi fissarono l’anziano, nei loro occhi si poteva notare la non perfetta lucidità data dal vino. “Ma sì, tanto…” proruppe Caterina guardando la madre. “Non c’è nessuno…”
Galina si guardò attorno. “Ma sì.” Entrambe si tolsero i vestiti rimanendo in intimo. Mario rimase a gustarsi i seni abbondanti e sodi delle due, le loro pance quasi piatte e i sederi rotondi e sodi. “Brave.”
Con il solo intimo addosso le due si sedettero nuovamente, questa volta però era tutti e tre seduti con la schiena rivolta verso l’albero di ulivo e con Mario in mezzo alle due. “Che pace,” disse Caterina fissando la terra e, poco più in là, l’argine.
“Potreste venire a stare qui….” propose Mario. “Che ne pensi Galina?”
La bionda stava riempiendo nuovamente i tre bicchieri. “Ne possiamo discutere,” rispose passandoli. “E ora, alla salute!”
Svuotatili, la bionda li riprese di nuovo e li depositò a fianco. Caterina era nuovamente alle prese con il suo telefono, Mario si girò verso Galina. “Non sarebbe male,” disse lui.
“Vedremo.” La donna si spostò per vedere alle spalle di Mario. “Cate, ma cosa fai?”
Mario si voltò, Caterina era in piedi, a seno nudo, intenta a togliersi anche le mutandine. “Perchè?” chiese quando le ebbe sfilate. “Se stiamo qua tanto vale approfittare per prendere il sole.”
“Ma non mi sembra il caso,” replicò Galina. “Scusala Mario.”
“Ha fatto bene,” replicò lui. “Anzi Galina, fallo anche tu, tanto ora io devo rimettermi al lavoro e qua non c’è nessuno a spiarvi.”
“Sì mamma,” la incalzò lei. “Chi vuoi che ci spii? Siamo soli.”
Galina titubò. Mario si voltò ammiccando alla nipote perchè dicesse qualcosa alla madre, lei gli sorrise mentre lui le guardava il pelo castano sopra la figa.
La bionda non si sentiva completamente sicura di quell’idea ma visto che, effettivamente, non c’erano altri spettatori decise che si potesse fare. “Va bene, va bene.” La donna staccò il reggiseno sulla schiena facendolo cadere a terra lasciando che i suoi seni pallidi e meravigliosi sobbalzassero in libertà poi fece scendere le mutandine mettendo in mostra il pelo biondo.
Con le due donne nude Mario sentì qualcosa dentro di lui risvegliarsi, si chiese come fossero arrivati a quel punto e, come sola risposta, trovò che fosse l’effetto del vino. Alla destra di Galina si trovava ancora la bottiglia, piena per poco meno della metà e i tre bicchieri; deciso a vedere cosa sarebbe successo, l’uomo la prese e versò altre tre dosi di vino. “Ormai che ci siamo va finita!”
L’uomo si spostò in mezzo alle due, passò il bicchiere a Caterina che lo accettò di buon grado mentre la madre sembrò quasi desistere. “Scusa Mario… ma non sono a mio agio,” disse cercando di coprire le sue grazie. “E’ stato un errore.”
In cuor suo lo pensava anche lui: erano la moglie di suo figlio e sua nipote; capiva che quella situazione fosse fuori da ogni tabù e che erano ancora in tempo a fermarsi ma la visione di quei due corpi giovani lì davanti era irresistibile; quei seni gonfi e sodi, le cosce tornite e i sderi perfetti in bella vista… qualcosa dentro di lui spingeva per continuare, per vedere fin dove le due si sarebbero spinte. “Ti capisco,” proruppe passando in mano di lei il bicchiere. Cominciò ad accarezzarle i capelli con dolcezza, “sei in imbarazzo ma lo sono anche io, non pensare. Bevi tranquilla, tanto sono un uomo anziano, cosa vuoi che succeda?”
Galina però sembrò ancora titubare. Mario si abbassò e le baciò la fronte poi le sorrise. La donna allora sembrò tranquillizzarsi, in effetti era una situazione strana per tutti. Lanciò un’occhiata alla figlia che, con le mani dietro la testa, era intenta a godersi il sole della tarda mattinata. “Mah si dai,” disse per poi svuotare il bicchiere.
Mario si complimentò con un sorriso. Poi si distese fra le due mentre l’eccitazione stava trasformando la patta dei suoi pantaloni in una piccola cunetta. Si girò verso sinistra e osservò la nipote. “Prova a metterti così, le disse mentre con le mani sulle sue cosce le apriva le gambe. “Non stai più comoda?”
“Si nonnino. Anche un po’ più fresca. Prova mamma!”
Mario si girò verso la bionda: “vieni, ti aiuto.” Spingendo con le mani, fece aprire le gambe anche a lei poi, davanti a loro, in ginocchio, rimase a godersi la vista frontale e perfetta di quelle due fighe rosa sormontate poco più sopra da un boschetto castano e uno biondo.
Con il vino agli sgoccioli Mario ebbe la sensazione che le due ora fossero più rilassate per cui, senza più farsi dilemmi morali, pensò di provare ad andare fino in fondo. Si sistemò fra le due e lentamente spostò le sue dita davanti le due fighe sentendo il calore sulla pelle poi, ancora più piano cominciò ad accarezzare le labbra con solo due dita. Entrambe mugolarono sottovoce, spinto da questa reazione fece entrare le dita penetrando le labbra che accolsero vogliose gli indici e medi nodosi e ruvidi. Le due cominciarono a gemere vistosamente mentre lui rafforzava il gesto inserendo un dito aggiuntivo in entrambi i pertugi che ora si stavano bagnando, muoveva le falangi con gesti fluidi e rapidi quasi come se stesse scavando per farsi strada.
Madre e figlia erano in piena eccitazione, le loro mani erano serrate a terra mentre i loro corpi si divincolavano lievemente ondeggiando al piacere delle dita di lui. “Mmmmm… nonnino…” disse Caterina.
Il cazzo di lui cominciò si estese in tutta la sua lunghezza, duro e gonfio gli premeva contro la salopette di jeans quasi a procurargli dolore. Con la mano umida degli umori di Galina prese la mano di lei e se la portò sul rigonfiamento che sporgeva dai pantaloni, tenendola per il polso la obbligò ad accarezzarglielo mentre con la destra ancora stava masturbando la nipote.
“Marioooo,” disse la bionda rossa in viso.
L’uomo sorrise. “Tiralo fuori,” ordinò.
Galina, ubbidiente, aprì la zip, spostò le mutande come meglio potè e vide uscire fuori dal pertugio un nodoso uccello ricoperto di venature e peluria bianca. La donna rimase a guardarlo, ancora annebbiata dall’alchool,
L’uomo si staccò i bottoni che gli ancoravano la salopette, la fece scendere a terra poi la scavalcò liberandosene. Prese per i capelli le due donne, sedette con la schiena rivolta al tronco, a gambe aperte, poi strofinò la faccia di Galina sul suo bastone. “Leccalo!” le ordinò. Poi, avvicinò la faccia della nipote ai testicoli pelosi obbligandola a leccarli.
Spinte dalla goduria le due obbedirono: la bionda ripassò l’uccello con la lingua, sbavandoci sopra per rendere più fluida l’operazione mentre la nipote prese a passare la grossa sacca scrotale con la punta della lingua prima di cominciare a leccarla come fosse un gelato. Mario, con le due donne messe a quattro zampe, lasciò i loro capelli e afferrò i seni sodi e generosi delle due che, prese da quella forte stretta, sussultarono. “Continuate!”
Mentre loro proseguivano con le loro lingue, le sue mani su mossero avide e esperte su quei seni meravigliosi, li strizzò con forza eseguendo movimenti verticali poi si spostò sui capezzoli e cominciò a torcerli e a tirarli. La donne, ancora intente a proseguire il loro lavoro di bocca, gemettero più forte mentre lui strapazzava i loro capezzoli carnosi che erano diventati turgidi come sassi. “Brave vaccone mie…” si complimentò mentre brividi di piacere gli attraversavano il corpo.
Mario fece continuare le donne finchè non fu sul punto di venire alchè allontanò le loro teste dai genitali e le fece mettere una accanto all’altra. “Cosa vuoi fare non?” chiese Caterina.
“Ora vedi, tesorino.”
L’uomo si spostò dietro Caterina, con le mani allargò le natiche e con un solo colpo secco le affondò il cazzo duro come pietra dentro il culo. La ragazza urlò di dolore mentre lacrime le cominciavano a scendere dagli occhi. Indifferente, l’uomo prese a pompargli l’uccello nel culo tenendo la ragazza per i capelli con una sola mano. Ad ogni colpo la ragazza emetteva gridolini di dolore misto a piacere, il pianto si era fermato e ora il suo ano sembrava accettare la verga dura e inflessibile di lui. Mentre il nonno la scopava mise una mano sui suoi seni e prese a titillarsi i capezzoli aggiungendo piacere sul piacere.
“Non m sono dimenticato di te,” disse a Galina che li stava osservando. La donna, ancora in posizione si domandò cosa volesse fare il vecchio: lo vide prendere la bottiglia e rovesciarle il vino rimanente sul sedere poi capì: l’uomo la girò e con cura infilò il collo nel buchetto di lei: “così siete pari,” disse. Adagiò il ritmo del braccio a quello con cui stava scopando sua nipote, guardò sua nuora godere deflorata dal collo della bottiglia mentre si reggeva sui gomiti e le sue belle e carnose mammelle ondeggiavano impazzite rasentando l’erba.
L’uomo aumentò il ritmo del bacino e della mano, non avendo un appoggio stabile fece ondeggiare la nipote ad ogni colpo rischiando di stramazzare su di lei. “Ci siamo quasi…” balbettò.
“Si nonninooooooo,” rispose lei immediatamente.
Per quanto Mario cercasse di reprimere l’apice dell’eccitazione lo colse mentre ancora stava sodomizzando la nipote. “Vengooo,” gridò la sciando i capelli di lei e afferrandole le mammelle per eiaculare all’interno del suo culo. “Siiiiii.”
Caterina ebbe un orgasmo mentre sentiva il liquido caldo del nonno inondarla. “Mmmmm…”
Galina continuò da sola con la mano a muovere la bottiglia il cui collo, così lungo, le sembrava potesse raggiungere posti inesplorati. Da quel particolare formicolio trasse più piacere di quanto avrebbe mai immaginato.
Uscito da Caterina, Mario si adagiò nuovamente sul prato. Il cazzo completamente moscio ma ancora umido di sborra. Guardò le due donne sorridersi soddisfatte e le invitò a raggiungerlo. Entrambe si accoccolarono, una per parte, nel suo abbraccio. “Questo è stato un buon inizio,” disse lui mentre le guardava a turno. La sua mano scese nuovamente e cominciò ad accarezzare i loro pubi ricoperti di soffici riccioli. “ma abbiamo ancora tanto da fare.”
Detto questo i tre rimasero ad osservare il cielo in silenzio mentre le due donne si godevano le carezze di quelle mani ruvide.

Autore:
Steto

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