Il prete e la puttana

Prete scopa violentemente una suora nel culo

Cosa potrebbero fare un prete e una puttana in metropolitana se non schivarsi a vicenda e restare ognuno nel proprio mondo? E, invece, no. Non succede sempre così. Non a me, almeno, che puttana non lo sono soltanto fuori ma soprattutto dentro.

I miei quasi quarant’anni so portarli bene, anche grazie alla mia volgare spensieratezza e alla mia natura di femmina stravagante. Ho un piercing su un capezzolo, tre anellini sul clitoride e uno che mi trapassa il perineo, quel pezzetto di pelle tra culo e fica che molti chiamano ‘la terra di nessuno’. Anche il mio corpo lo chiamo così, ‘la terra di nessuno’. Di tutti e di nessuno.

Ne ho conosciuti tantissimi, di uomini, ma nessuno mi ha mai fatto perdere davvero la testa. Certo, quel prete mi faceva provare strani brividi lungo la schiena, mentre mi guardava, in un vagone della metropolitana, seduto di fronte a me. Mi guardava proprio come un inquisitore avrebbe guardato una strega da condannare al rogo. Ma mi fissava anche come certi clienti repressi, di quelli che ti spogliano con gli occhi e insieme ti giudicano, con tutta la voglia in corpo di essere adescati alla svelta da quelle come me per poi farle scoppiare di cazzo punitore tutta la notte.

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Ma non diceva niente, il prete… Guardava le mie gambe, poi distoglieva lo sguardo e  controllava attorno se la gente spiava le sue occhiate tradite da una vampata di libidine e di codardo peccato, che gli faceva sudare e bagnare il colletto bianco. Due tizi ci puntavano gli occhi addosso e avevano notato quanto mi piacesse farmi guardare dal prete. La cosa mi eccitava al punto tale che le mie gambe innervosite di piacere lo provocavano accavallandosi di continuo per mostrare di sfuggita qualcosa che lo turbava, tra le cosce.

Gli puntavo la patta già gonfia e ridevo tra me con una smorfia di peccato sulle labbra. Intuivo le misure del suo sesso: difficilmente mi sbaglio. Doveva avere un uccello enorme, pieno di sperma, di timore tanto forte quanto la sua depravazione.

Scende. Lo seguo ed è questo che vuole, il prete.

Camminava lentamente per non far perdere le sue tracce: ogni tanto, si voltava per assicurarsi che io non ci ripensassi e decidessi di sparire. Non avevo nessuna intenzione di mollare quell’esperienza, invece.

Entra in un vecchio palazzo, lascia una mancia al portiere dicendogli qualcosa all’orecchio. Mi squadrano entrambi e il portiere non fiata quando mi vede salire le scale come un’ombra, dietro la figura magra e alta di quel sacerdote. Entra in un appartamento lasciando la porta socchiusa. Entro anch’io chiudendola alle spalle e avanzando lentamente, cercando di intuire quale stanza avesse scelto.

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Una stanza, uno studio pieno di libri e di carte. Lui era lì, seduto alla scrivania come un professore in vena di bacchettate serie. Aveva tolto in un attimo la tonaca,  il colletto. Vestito da uomo comune, ordinario, anonimo, aveva una smorfia stampata in faccia che somigliava vagamente ad un sorriso e non parlava. Non era timido e non era neanche maleducato. Era muto e, poi, c’era poco da dire. Mi aveva trascinata nella sua casa per divertirsi e passare ai fatti senza tante storie.

Si avvicina, mi tira via i vestiti, mi lecca e resta imbambolato davanti al mio capezzolo, il clitoride e l’altro pezzetto di pelle (la ‘terra di nessuno’) trafitti dal piercing come una forma di moderna punizione corporale per i miei tanti peccati. Con tutta la voglia di commetterne un altro, subito.

Il suo cazzo era davvero gigantesco e duro, duro da morire. Gli succhiavo l’asta  e le palle come se non mangiassi carne di maschio da mesi. Carne di prete in… elevazione. Elevazione tutt’altro che spirituale.

Giusto il tempo di bagnarmi con la lingua e mi ha penetrata come un animale, con ansia e fretta, sbattendomi supina sul tavolo e infilandomi contemporaneamente un intero dito nel culo. Poi, ha infilato il suo uccello mostruoso, nei fondelli, infastidendomi la sorca col tacco dorato della mia scarpa. Mi impalava a tradimento, avrebbe voluto dirmi frasi sporche ma non poteva e si sfogava con smorfie oscene ad ogni colpo.

Non ha fatto in tempo a stapparsi: mi ha sborrato qualche getto di sperma nell’intestino, prima di sporcarmi la faccia. Senza neanche pulirmi la bocca sono andata via. Lui restava col cazzo in mano, gli occhi fissi sulla parete, dove una croce arrugginita lo avrebbe perdonato, una volta di più…

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