Li chiamerebbero fiori di fango (Marion)

Le chiamerebbero fiori di fango

fiore n^2 Marion

Era il diciassette Novembre; Marion lo ricordava bene perché lo aveva scritto poi nel suo diario. Avrebbe forse dovuto ricordarlo perché per la prima volta un uomo la aveva toccata – per primo, le aveva toccato il seno – ma non era stato un granché per lei.
Il 17 Novembre era anche la prima volta in cui un uomo l’aveva vista interamente nuda per la prima volta. Era stato in occasione del giorno in cui si era lasciata convincere, dalle sole sue stesse fantasie, a fare da modella ad un artista di nudo femminile.
Era di un umore raggiante; quando lo vide per la prima volta, scesa dal metró, gli sorrise come una bambina ad un grande uomo.
Lui portava una sciarpa rossa ed un cappello marrone, ed era alto più di lei, più robusto e di molto più anziano. Per Marion, vestiva proprio come un pittore, un artista. Rimase estasiata dal vederne uno in carne ed ossa per la prima volta, tanto che non seppe contenere l’entusiasmo.
Lui la prese subito in simpatia. Le chiese più volte l’età, per essere sicuro che fosse maggiorenne, e le disse che somigliava molto ad una moderna Alice nel Paese delle Meraviglie, in cerca come era di nuovi sogni, nuovi mondi.
Presero un caffè insieme, mangiarono un paio di biscotti e poi lui la fece salire di sopra, a casa sua, dove c’era anche il suo studio. Marion si aspettava di sentire un po’ di paura, diffidente come era. Dopotutto aveva conosciuto quell’uomo su Internet giusto neppure una settimana prima, ed ora era pronta a spogliarsi in casa sua.
Non sentì comunque niente, se non un leggero senso di eccitazione quando entrò a casa di Antoine e si rese conto che le piaceva moltissimo; c’erano lunghi tappeti, uno dietro l’altro, sconfinati su tutto il pavimento; gioielli di rame poggiati in rastrelliere sui mobili, disegni di donne nude appesi alle pareti, molti dei quali erano proprio di Antoine.
Lui la invitó a togliere le scarpe, la introdusse in una stanza che doveva essere il salone principale. Poi si allontanò per un po’, e Marion giocó a fare l’Alice nel suo Paese delle Meraviglie davanti ad una donna che era rimasta per tutto il tempo al telefono, dietro una scrivania di fronte alla ragazza. Marion era ben cosciente che lei fosse lì, e sapeva chi era: era la moglie di Antoine; ogni tanto si divertiva a girarsi a sorriderle, sempre sorridente e ebete davanti a tutte le fattezze e i mobili di quella stanza.
Quando Antoine si fece vivo di nuovo le presentó sua moglie, che Marion aveva già conosciuto prima con gli occhi e con il sorriso. Poi si sedette su un divano accanto alla ragazza, e gli raccontó la storia di alcuni gioielli che aveva comprato nell’isola di Bali. Le parló soprattutto delle donne Balinesi, del loro passo felpato, del fatto che andassero in giro a seno scoperto e senza mostrare pudore, con delicata eleganza e un’andatura incredibilmente dritta.
Marion era affascinata dalle ragazze di Bali, e allo stesso tempo non vedeva l’ora di poter dimostrare la sua bellezza, di tornare ad essere il centro dell’attenzione di Antoine.
Se avesse avuto un po’ più di età e di esperienza, lo avrebbe capito subito: era già innamorata persa di lui.
Si spostarono nello studio, che era tenuto caldo da una grossa stufa, e la moglie di Antoine fece loro il tè per più tardi e uscì a fare delle compere. Dopo averle fatto vedere lo studio Antoine mostró a Marion una camera da letto in cui avrebbe potuto spogliarsi, e le offrì una vestaglia che era piena di strappi e buchi e che lei trovó logora quasi oltre il limite, oltre l’offesa. “Cosa mi ci copro a fare, con questa, vecchio sporcaccione? Non mi serve a un bel niente, sono meno nuda senza!” pensó, ma, visto che lo stesso da lì a poco sarebbe rimasta nuda, pensó anche che sarebbe stato inutile portare o meno una vestaglia comunque.
Nella camera dove Marion era da sola adesso c’era un grosso specchio, e dietro di questo un letto e una libreria. Rimase a pensare che quella era la stanza dove Antoine e sua moglie dormivano insieme, e le scappó un sorriso, le piacque essere stata introdotta al segreto di quella camera. Era un segreto matrimoniale, uno che durava da tempo, probabilmente da prima che lei nascesse; non ne provó gelosia, perché si stava spogliando anche lei, adesso, e avrebbe lasciato anche la sua parte di vita a quel luogo.
Uscì da lì per raggiungere Antoine nello studio e lo trovó seduto in una sediola accanto al piano dove lei avrebbe dovuto sdraiarsi. C’erano dei cuscini, e delle coperte. Sebbene si sentisse un po’ impacciata, Marion lasció cadere la vestaglia e mostró il suo corpo ad Antoine molto poco dopo essersi introdotta nello studio.
Lui inizió a guardarla, la fece spostare, le fece alcune foto. Marion non diceva niente, per il momento. Poi Antoine le disse: “come sei dritta”, e questo le fece piacere perché si ricordó delle donne di Bali e di come a lui piacesse la loro postura severa. Rise un po’, dolcemente e in modo divertito, e poi iniziarono a lavorare sul serio.
Mentre rimaneva ferma in una posa, dopo poco a Marion tremavano i muscoli, e sperava non desse fastidio al lavoro dell’uomo. Lui la guardava ad intermittenza e guardava il foglio sul quale preparava lo schizzo, poi si alzava e lasciava il tutto per avvicinarsi a guardarla meglio in alcuni punti.
Marion si trovava sdraiata sulla schiena, con le gambe chiuse sul letto, i piedi incrociati sopra al suo sesso, le braccia larghe, le mani sfioraravano le natiche. Mentre Antoine le si avvicinava, lei sentiva il suo sospiro farsi grosso, più irregolare e più forte, e provó per la prima volta paura. Temeva che lui si stesse eccitando, e non sapeva che fare, lì immobile e nuda.
Lui, però, le chiedeva sempre il permesso per accarezzarla in punti che doveva disegnare, e la sua voce, tremante e irregolare come lo era il suo respiro, suonava sempre professionale all’inverosimile.
Marion, che non conosceva gli uomini, gli rispondeva sempre di sì. Lui quindi la sfiorava, delicato e attento, e lei sentiva tanti brividi crescere lungo il punto in cui erano state lì dita di lui, soprattutto se si trovavano in punti molto vicini al pube. Di più, però, non provava; anche quando lui la toccava di nuovo, con un celato desiderio, lei si sentiva lontana, come se non fosse lei quella che toccava, come se i suoi seni, le sue natiche, le sue cosce non fossero veramente sue, ma appartenessero piuttosto molto più ad Antoine, in quel momento.
La fece alzare, per la posa finale, e le fece reggere in mano un leggero velo che le circondó i fianchi morbidi, le mani congiunte davanti in mezzo al petto. I suoi seni, schiacciati un po’ dal basso dai polsi che si trovavano vicini, attirarono l’attenzione di Antoine che le chiese più volte se poteva toccarli, elogiando il loro profilo e la linea che dalle scapole li andava a circondare.
Poi, per la prima volta, Marion si mosse troppo. Rimase mortificata a vederlo scuotere la testa, mentre si alzava svelto come per risolvere un pasticcio. Si scusó d’istinto, ma lui non le rispose. Poi si mosse ancora, e lui le disse ancora no.
Il velo che teneva in mano si era chiuso davanti le sue gambe, ed era andato a coprire il suo sesso, che Antoine voleva vedere scoperto. Lui era arrivato nel mentre al colore, e teneva in mano un pennello color della carne di lei. Mentre si piegava tra le sue gambe, per sistemare il velo, fu colto dalla forma delle labbra del sesso di lei, ampie, piene e umide. Non resistette: vi infiló dentro il pennello che aveva tra le mani, con dolcezza ma senza chiedere.
Marion fece un sussulto, lo guardò: non era spaventata. Lui prese a muovere il pennello su e giù per l’apertura di lei, lentamente, e Marion non potè più rimanere in piedi, non resisteva. Divenne rossa sulle guance, sorrise e si poggió al tavolo da lavoro di Antoine con una mano, facendo cadere da lì il foglio da disegno che lui stava completando fino a pochi attimi prima, mostrandone il risultato. Non appena cadde, gli occhi di entrambi si spostarono lenti su di esso. Antoine del dipinto, lasciato incompleto, le disse: “Non mi piace. Tu sei splendida, sono io che non so disegnare, Marion. Tu sei splendida.”
La penetró solo con il pennello quella prima volta.

Autore:
Serena Linari

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