LA STORIA dell’AMANTE (L’operazione)
Arrivò il giorno dell’operazione. Inutile dire che in casa si respirava un’aria pesante. Giacomo era fuori per lavoro, Mathias andava sempre meglio a scuola ed io svolgevo con la solita dedizione ogni mansione assegnatami. Celeste era ormai ricoverata in ospedale da una decina di giorni, quando i medici si decisero a permetterci di riportarla a casa. Presi la macchina e mi diressi presso la struttura ospedaliera, una clinica privata, ovviamente all’altezza del tenore di vita della famiglia. Arrivai che erano da poco passate le due del pomeriggio, ed accorgendomi del ritardo mi precipitai sulle scale. Salii in pochi secondi i duecentocinquanta sette gradini che mi separavano dalla sua stanza.
Trecento quarantadue. Arrivata. Entrai con l’affanno di una maratoneta, ma arrivai più puntuale che mai.
«Eccomi!» gridai quasi senza accorgermene
«Ciao Marina, gli infermieri mi hanno gentilmente raccolto i vestiti, e me li hanno rimessi in valigia, adesso arriva la sedia a rotelle, poi possiamo andare» disse lei, degnandomi a mala pena di uno sguardo
«Signora Smith, oggi la dimettiamo» interruppe i miei pensieri il dottore «Mi raccomando, una volta arrivata a casa si faccia una doccia e si stenda sul letto; si ricordi per almeno dieci giorni ancora stia solo a letto, poi inizierà la riabilitazione affiancata da un nostro fisioterapista che verrà a casa sua» la guardava fisso per assicurarsi che tutto le fosse chiaro
«Certo, dottore, tutto chiarissimo, ci penserà Marina, la mia domestica» rispose lei guardandomi, feci un cenno con il capo, senza realmente pensare alle parole spese dal dottore.
Arrivammo a casa nel tardo pomeriggio, chiamai invano Mathias per farmi aiutare, perché subito mi tornò in mente il suo impegno con lo stage di basket, allo stesso modo la trasferta di Giacomo; mi feci forza e trasportai fino in camera Celeste.
Le gambe mi tremavano, non mi ero mai soffermata ad osservarla. Non era pesante, anzi era atletica, una ex karateka, molto prestante, ma proprio per quel motivo difficile da trasportare. La sdraiai sul letto, e mi ricordò del bagno. Entrai in quello padronale, che a dirla tutta sembrava essere una camera a sé. Aprii il rubinetto della vasca, e iniziò ad uscirne un potente getto caldo. Presi i profumi e li misi nella vasca e il sapone. Aspettai fosse completamente piena prima di chiudere l’acqua e tornare nella camera.
«Allora l’acqua è pronta, vado a preparare il pranzo, cosa preferisci?» chiesi preparandomi ad uscire
«Come credi sia possibile per me, farmi la doccia, se non posso camminare?» ripose lei.
Mi ammutolii. Avvicinandomi iniziai a spogliarla. Le tolsi le scarpe, e piano le sfilai i jeans. Slacciai ogni singolo bottone della camicia, e poi gliela sfilai. Solo allora mi soffermai a guardare il suo corpo olivastro. Mediterranea di nascita, e inglese di adozione. Cullandomi nei miei pensieri la spogliai, e in quel momento mi accorsi di quanto fosse stupenda. Intendiamoci non un corpo perfetto, ma un corpo perfettamente armonioso. Occhi verdi, seni piccoli, labbra carnose e culo da favola. Sodo, incredibilmente irresistibile. Allontanai da me quei pensieri e la presi in braccio per poterla lavare. Lentamente la poggiai nella vasca. Sembrò interminabile il momento in cui riuscii finalmente a posarla sul fondo. L’acqua le ricopriva il corpo per intero, ma data la sua semitrasparenza poco era lasciato al caso.
Il sapone, quasi a voler nascondere tutta quella meraviglia, si dispose a piccole isole. Presi la spugna e piano iniziai dalle spalle. La sentii tremare, lentamente iniziai a massaggiarle la parte destra. Piano arrivai al collo, parte sensibile, e onestamente un brivido mi percorse la schiena. La vidi inarcarsi, leggermente ed impercettibilmente. Ma lo notai. Fu la prima volta che sentii di essere desiderata. Faceva caldo. Le chiesi, quasi sussurrando, se potevo togliermi la maglietta. L’acqua era bollente, la porta era chiusa, quindi non era poi così strano che io sentissi tutto quel calore sul mio corpo. Annuì debolmente. Mi sfilai la maglia, una t-shirt bianca, con un disegno molto infantile sulla parte davanti. Un regalo di mamma. Sorrisi al ricordo. Vidi il suo sguardo attraverso lo specchio, potevo capire cosa le stesse passando per la testa. Si potrà dire che sono presuntuosa, o semplicemente si noterà il mio essere vogliosa, quanto o più di lei. Proseguii il massaggio, bagnai la spugna, e continuai. La schiena fu, tutto sommato, la parte più semplice; in fondo potevo fermarmi, alla fine poteva benissimo finire lei. Ci pensai, e fui titubante. Quasi capendo il mio essere “bloccata”, mi guardò, e con un cenno della testa mi invitò a proseguire. Potevo notare i suoi seni, piccoli, ma sodi. Erano eccitati, erano duri, erano semplicemente stupendi. Passai la spugna, e mi accorsi che la mano era molto più vicina al suo corpo di quanto le fosse permesso. Così, quasi impaurita, lasciai la presa, la spugna cadde nell’acqua e si inabissò, proprio nel suo intimo.
TO BE CONTINUED…
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