Il lattaio in tempo di guerra

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Tutti gli uomini del mio quartiere erano partiti per la guerra ed io ero rimasto, per questioni legate all’età, l’unico maschio della zona.
C’erano anche dei bambini, ma io essendo un diciassettenne ero praticamente un uomo. La guerra non mi aveva portato via, ma una nuova guerra scaturì in quel panorama cittadino: la guerra per contendersi il mio cazzo.
C’erano le vedove di guerra e le mogli dei soldati, senza contare poi le loro figlie. Tutte avevano bisogno di un corpo con cui fare l’amore ed il mio era l’unico corpo disponibile sulla piazza. Era brutto da dire, ma amavo quella guerra che per me aveva più il suono dell’amore che della paura.
Luisa aveva chiesto due bottiglie di latte ed io le avevo portato il tutto, da parte di mia madre, direttamente a casa sua.
Aveva diciannove anni, ma aveva già fatto due figli. Suo marito era un maggiore.
Si fece già trovare in sottoveste, quando arrivai.
Non erano tutte così spigliate; molte avevano bisogno di chiacchierar un po’ prima di procedere con l’atto, mentre lei sembrava così vogliosa di cazzo da rendersi incapace di aspettare anche un solo secondo.
Con un gesto della mano fece cadere a terra il latte. Era un gesto del tutto fuori luogo con la guerra che stava svuotando tutte le cantine.
-Voglio che me lo infili dentro con tutta la tua forza.- disse.
Aveva degli occhi azzurri bellissimi. Se non ci fosse stata la guerra di mezzo non me l’avrebbe mai data, ma le circostanze mi rendevano l’uomo più appetibile della zona.
-Fammelo venire duro.- dissi, accarezzandole le labbra.
Luisa capì l’antifona e si mise in ginocchio davanti al mio cazzo, prendendolo in bocca.
Non capitava molto spesso di farsi fare dei pompini, perché le usanze erano un po’ antiquate da noi.
Quando, però, capitava era semplicemente bellissimo.
Sembrava quasi soffocare col mio cazzo in gola. Doveva averne fatti molti, perché padroneggiava una tecnica tutta sua che mi stregò sin dall’inizio.
-Ok, ok… ci siamo.- dissi, sollevandola per poi metterla a pecorina.
-Avanti… penetrami.- disse.
La penetrai. Aveva un corpicino minuto e nervoso. Fu un vero piacere sbatterglielo dentro con rabbia e furia. Essendo l’unico sulla piazza non me ne fregava niente della performance in sé, in quanto non c’erano più parametri di giudizio. Me le sbattevo tutte allo stesso modo: come un treno in corsa che saltava le fermate.
Era un martellamento continuo. Niente stop. Un classico: bum, bum, bum.
Le tirai i capelli, facendole un po’ male, ma era quello che anche loro volevano, in realtà.
Tutte volevano soffrire, perché in fin dei conti stavano tradendo i loro mariti, impegnati al fronte per difenderci. Erano delle puttane traditrici e volevano soffrire per scontare un po’ di quel piacere peccaminoso.
-Vorrei poterti tagliare il pisello per usarlo quando ne ho bisogno.
-Basta ordinare il latte ed io arrivo.- dissi.
In pratica ero diventato come una puttana. Per chiamarmi, le donne utilizzavano la scusa del latte e le vendite non erano mai andate meglio in tutta la nostra vita.
Le strinsi le tette come un cavaliere avrebbe fatto con le briglie di una puledra e la cavalcai con veemenza fino a quando non sentii l’orgasmo arrivare.
Mi tolsi da lei e la feci inginocchiare con violenza.
-Stai ferma.- dissi.
Mi masturbai davanti al suo visino angelico e le sborrai in faccia.
Aveva una bella figa per aver partorito due volte e, reggeva bene una scopata invasiva. Sborrarle in faccia era un po’ la mia firma. La firma bianca del lattaio in tempo di guerra

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