Il ghigno della scimmia – prima parte
Mi hanno sempre infoiato gli uomini molto pelosi e, quando mi sono gustata un video porno di quelli speciali, ho capito perché. Il fatto è che le scimmie, meglio di certi uomini, sanno scatenare in me istinti primordiali che non ho nessuna intenzione di reprimere.
In quel video, quando ho visto il gorilla protagonista della scena hard montare tre donne una più assatanata dell’altra, quasi sono svenuta dall’eccitazione. Ho liberato orgasmi a catena colando come una fontana, rischiando la follia.
Quel primate imbruttito dall’istinto sessuale animalesco e aggressivo, tipico della sua razza, trafficava a cazzone teso nelle spacche delle tre femmine umane e le gonfiava di carne dura, brutale. Quelle scene esplicite e selvagge mi mandavano fuori di testa. Invidiavo quelle donne.
Un mio amico lavora allo zoo, non dista molto da casa mia, e per convincerlo a farmi entrare di nascosto lì, di notte, ho dovuto concedergli diverse porcate ma non mi pento affatto. Quando voglio una cosa, trovo sempre il modo di ottenerla.
E’ successo, in una notte di fine luglio. Il mio amico mi ha aperto le porte del grande cancello guardandosi intorno per controllare se qualcuno si fosse accorto di noi. Tutto sembrava filare liscio e tranquillo tranne me e i miei occhi da strega già pronta a sacrificarsi al dio scimmione scegliendo come altare la sua gabbia.
L’unica razza di scimmie che aveva a disposizione per me, in quello zoo, era uno scimpanzé di taglia più grossa dell’ordinario, che mi aveva già mostrato in foto. Non volevo perdere tempo. Le mie viscere ingorde erano stanche di aspettare. Gli ho chiesto dove fosse e mi ha fatto strada.
Lo scimpanzé adulto era solo nella gabbia. La sua femmina era morta un paio di mesi prima e lui se ne stava rannicchiato in un angolo, assorto e inquieto, triste e sconsolato.
Il mio amico stava per aprire la gabbia, ma l’ho fermato subito.
“No, aspetta… Passagli qualcosa da mangiare, fallo avvicinare alle sbarre… Lascia la gabbia chiusa, per ora…” gli ho ordinato a voce bassa ma decisa.
Ha tirato fuori una banana e lo scimpanzé, nero come la pece e con lo sguardo curioso, lentamente si è avvicinato a noi. Ha teso la mano rugosa verso la banana e ho approfittato subito di quel momento per afferrargli delicatamente il cazzo e le palle. Massaggiavo e lo fissavo negli occhi, mentre si lasciava toccare sbucciando la banana e mentre io sbucciavo – anzi sfoderavo – la sua.
Mi cresceva in mano colando un po’ di liquido trasparente. Era pronto, eccome se lo era…
Ho preso a masturbarlo a ritmo sempre più veloce (ma non troppo) e, un po’ alla volta, mi toglievo i vestiti mostrandogli le tette gonfie, i capezzoli già rizzati dalla voglia, la fica pelosa, i piedi arcuati in attesa d’incassarlo dentro.
A forza di menarglielo, si tendeva sempre più verso di me, contro le sbarre, per porgermi bruscamente un cazzo eretto al massimo. Era pronto e, per dimostrarmelo, il suo muso (prima triste) mi ha sparato addosso a sorpresa il suo primo ghigno irriverente e provocatore, mostrandomi i denti e una voglia sinistra di spaccarmi in due.
Mi sono sistemata contro la gabbia piazzando il culo al centro della grande fessura tra le due sbarre che mi dividevano dallo scimmione per invitarlo a prendermi.
Con la mano guidavo il suo nerbo selvatico al centro della fica per puntare la cappella rossa contro la sorca allagata di desiderio animale. L’ha puntata premendo con tutte le sue forze e spingendo fino in fondo selvaggiamente. E’ scivolato tutto dentro, quel cazzone da scimpanzé opportunista, e ha preso a sbattermi meglio di un cane, con un movimento più simile all’uomo ma con un ritmo più cafone ed efficace.
Ghignava, urlettava e scopava, colando saliva e sudore.
Troppa foia lui, troppo bagnata io: scivolava e sgusciava fuori e, nel rificcarsi di nuovo dentro, ha sbagliato buco e mi ha inculata. Sentiva un piacere diverso forzando l’anello di carne. L’incastro era perfetto, lo sentiva tenero e cedevole, più elastico e forte. La bestia pelosa, sola da due mesi, aveva le palle piene e non ce la faceva più. Mi ha scaricato nell’intestino un’ondata di sperma che usciva fuori, a fiotti. Orgasmava ghignando, quel demone nero, e nell’aria si liberava un odore acre molto forte, mischiato al suo sudore di scimmia parecchio provata dall’inculata violenta.
Mi sono voltata e ho visto il suo muso teso in una strana smorfia di godimento. Mi ha ghignato in faccia, di nuovo, mostrando i denti e graffiandomi la schiena con un fare da padrone. Mi fissava le tette e, mentre si riprendeva dal violento orgasmo, gliel’ho offerte facendogli segno di ciucciarmi i capezzoli. L’ha fatto senza mordere, avviluppando i capezzoli con quelle grandi fauci da clown ma senza usare i denti. Mi rovistava le mammelle con la lingua e con lo sguardo mi pregava di non andare via. Anche con quel ramo rosso che aveva tra le gambe (e che tornava a svegliarsi) mi pregava di non andarmene e di non lasciarlo solo.
A quel punto, volevo un incontro più ravvicinato.
fine prima parte
(clicca qui per leggere la seconda parte del racconto erotico)
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