Cari, vecchi amici ( prima parte: il pompino)

Troia tradisce il marito facendo un pompino all'amante
Avevo da poco aperto una agenzia d’affari, dopo un periodo di lavori vari in giro per l’Italia.
Il lavoro non era tanto, anche perché ero all’inizio, e lavoravo da solo; un giorno viene a trovarmi una vecchia amica di scuola, un paio d’anni più giovane di me (io ne ho 33), sposata.
Era da un po’ di tempo che non la vedevo, sia per il mio tran-tran per l’Italia che per alcuni fatti accaduti qualche anno prima che, al suo apparire nel mio ufficio, mi tornarono subito alla mente: chiaramente insoddisfatta del matrimonio, anche se non amava parlarne, un giorno ero andato a trovarla al lavoro (faceva la contabile in un grande autosalone ed il suo ufficio era un box ricavato all’interno del locale, con angoli protetti dalla potenziale visione dall’esterno; c’era solo lei che si districava tra fatture e documenti), dopo esserci salutati da buoni vecchi amici, rimanemmo mano nella mano; continuando a parlare, ci tenevamo ancora mano per mano, ad un tratto, non so cosa mi prese, cominciai a solleticarle coi polpastrelli il palmo interno della mano, risalendo pian piano lungo il polso. A lei piaceva tale trattamento, non accennando al benché minimo ritiro impacciato o incazzato, anzi: ad un certo punto, durante questi miei lenti tragitti lungo la parte inferiore del suo braccio (che l’avevano senz’altro turbata), arrivato di nuovo all’interno della sua mano, improvvisamente, scegliendo apposta il mio dito medio, me lo strinse a mo’ di cazzo e cominciò a massaggiarlo ed a scorrerlo per tutta la sua lunghezza; arrivata alla punta del mio medio, con la punta del suo indice cominciò a carezzarlo e solleticarlo proprio come fosse la punta di un cazzo che veniva dardeggiata dalla sua lingua assatanata. Intanto il vero cazzo (il mio) cominciò a premere nei boxer, tanto che, ad un certo punto, vuoi per l’eccitazione, vuoi anche per i pantaloni larghi che indossavo, sgusciò fuori dai boxer puntando dritto verso i bottoni della patta, dimostrando alla mia “dirimpettaia” in maniera palese l’esito prevedibile di quel giochino.
Ci guardammo fissi negli occhi e automaticamente ci ritrovammo abbracciati in un angolo del suo ufficio a baciarci furiosamente e a toccarci a vicenda. Le presi le stupende tette tra le mani a mo’ di coppa e cominciai a massaggiarle, strizzando di tanto in tanto i capezzoli che erano divenuti durissimi, poi, alzandole la lunga ma larga gonna che indossava, le infilai una mano negli slip, beandomi della lussuria che, grazie anche ai miei giochetti di prima, le stava sgorgando copiosa dalle labbra; raccolta la mano a coppa, cominciai a sfregarla sulla fica bollente, spalmandole i suoi stessi umori tra labbra e buco del culo; cominciai allora a penetrarla con le dita, mentre lei, da sopra i pantaloni, mi aveva intanto infilato una mano nei boxer e, afferratomi il cazzo al quale poco mancava che le scoppiasse fra le mani, cominciò a menarmelo nei pantaloni. All’improvviso, il “Buongiorno” di un cliente che in quel momento entrava nel salone ci riportò alla triste realtà, facendo noi appena in tempo a ricomporci e lei! , per sdrammatizzare: “Arrivederci Ragioniere, le invierò al più presto il saldo della fattura”.
Mi ritrovai così, mezzo rincoglionito per quella inaspettata, ma meravigliosa e purtroppo incompiuta avventura, a far ritorno al mio lavoro, con i coglioni che mi scoppiavano per l’eccitazione (appena arrivato dovetti andare in bagno a farmi una sega per calmarmi).
Da allora non ci siamo più rivisti, fino a quella mattina. Ero assorto da quei pensieri, quando lei mi fa: “Buon giorno ragioniere, sono venuta per saldare quella fattura”. Capii subito il significato di quella frase e cosa sarebbe successo di li a poco, ma volli, comunque, gustare il sapore di quella riconquista (tanto oramai non c’era più la fretta di un tempo) e, rispondendole “Già, la famosa fattura!”, la feci accomodare sul divano che avevo sistemato sul retro del mio ufficio, dove mi ero arredato un piccolo ma accogliente salottino con divano-letto, con tanto di frigo e luci regolabili.
Le offrii un Campari e mi sedetti accanto a lei, cominciando a parlare del più e del meno e, ad un certo momento, cominciai a ricordare il fatto accaduto quel famoso giorno, raccontandole, come se lei non ne sapesse niente, tutto quanto era accaduto, prendendole la mano e cominciando a carezzarla come quel giorno. Cominciai a notare il suo turbamento, ma questa volta, chiedendole scusa, mi alzai un attimo ed andai a chiudere la porta d’ingresso a chiave, mettendo il cartello “torno presto”: non volevo sorprese questa volta.
Tornai a sedere accanto a lei, le ripresi la mano, e ripresi a raccontare, cominciai a confidarle il mio desiderio nei suoi confronti fin dai tempi della scuola, quando lei (involontariamente o non) si metteva sottobraccio e mi faceva sentire la possenza e la durezza delle sue tette, e un’altra volta, durante una pasquetta in campagna di amici, per prendere il posacenere che era accanto a me, si stese sulle mie gambe facendomi sentire le sue tette direttamente sul mio cazzo che ebbe una erezione improvvisa e lei, accortasene, fece di tutto per ritardare il suo ritiro col portacenere. In seguito, nessuna altra avance era stata osata né da parte mia né da parte sua. A questi racconti, lei disse che in effetti io le ero sempre piaciuto, solo che paradossalmente a lei sembrava che fossi io a non essere interessato a lei; ma io le risposi che la mia era una reazione tipica della persona timida, caratteristica che avevo ormai perso da tempo. Lei affermò che in effetti ero cambiato, che adesso ero più “sveglio” di allora, e che comunque era ora di recuperare il tempo finora perduto. Detto questo, portando la mia mano vicino al suo viso, prese tra le labbra il mio dito medio e se lo risucchiò in bocca come fosse uno spaghetto, il mio cazzo ebbe un sussulto improvviso, mi si avventò sopra come una pantera affamata e cominciammo a baciarci e a toccarci.
Ad un tratto si alzò in piedi, si tolse la camicetta e, accovacciatasi per terra davanti a me iniziò a togliermi i pantaloni, poi i boxer e infine, fissandomi negli occhi con uno sguardo che voleva dire solo “ho una tremenda fame del tuo cazzo”, impugnatolo come uno scettro, cominciò a leccarlo come un gelato, a slinguarlo sulla cappella, poi passò alla base, succhiando i coglioni mentre me lo menava dolcemente e con il palmo della mano spalmava sulla cappella la mia eccitazione che cominciava a defluire, cominciò a mordicchiare il rigonfiamento sulla parte inferiore dell’asta, risalendo sempre più verso l’alto, e, quando fu in cima, con un colpo di lingua asportò parte della mia eccitazione dal glande, se la spalmò sulle labbra come per lubrificarle e, raccogliendo le labbra a cuoricino, le avvicinò alla cappella e, tenendole ben strette ma sempre morbide nella loro naturale carnosità, affondò l’intera asta nella sua bocca sì da farmi immaginare una penetrazione. Il su e giù che seguì della sua testa, unitamente al dardeggiare della lingua all’interno della calda bocca, mi fece perdere completamente la testa, fino a quando, estrattolo, cominciò a succhiare la cappella facendosi con tale movimento infossare le guance. A quel punto non ce la facevo più, le dissi che stavo per venire e lei, per tutta risposta, fissandomi negli occhi con uno sguardo da troia vissuta mi disse: “sborrami in bocca, ti voglio bere fino all’ultima goccia”. Cominciò a pompare l’asta dalla punta fino alla base, bagnandola in tutta la sua lunghezza e raspando con la lingua lungo il frenulo: venni a dismisura, inondandola di sperma, lei ne bevve in parte, poi lo tirò fuori e continuando a menarlo si fece venire sulle tette, poi lo ricacciò in bocca e lo ripulì per bene, mentre con una mano si spalmava lo sperma sulle tette.
“Per ora mi hai offerto tu l’aperitivo” disse dopo “ora devo andare a cucinare, si sono fatte le 12,00. Mio marito torna alle 13,00 per pranzare e poi deve essere di ritorno al lavoro entro le 14,00. Se vuoi nel pomeriggio presto posso offrirti un tartufo al cioccolato. E’ una mia specialità, vedrai, ci vediamo intorno alle quattordici qui?”. “Va benissimo” risposi io “alle 14,00 in punto ti apro la porta sul retro, così entri senza farti notare, ti aspetto”, pregustando già il “tartufo al cioccolato” che mi aveva promesso.

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