Sbattuta per l’ultima volta

Sesso anale: racconto erotico

E’ facile simulare il piacere per una donna che non prova più niente nei confronti del suo uomo. Ma quanto può durare ancora la mia recita con Marco? Sono mesi che vivo con lui giorni e notti uno/una uguale all’altro/a. Aperta nelle stesse posizioni, arresa agli stessi gemiti che assecondano urla finte, complici di una passione che non esiste più.

E’ diventato un estraneo, un perfetto estraneo, e se non fosse per  il suo cazzo legnoso e sempre pronto a  ficcarmi mi sarei già rifiutata da un pezzo ad aprirgli le cosce tutte le volte che ha voluto e che vuole.

Lui non riesce a stancarsi di me, è sempre così… Quando  te ne fotti di qualcuno questo ‘qualcuno’ vorrebbe fotterti in eterno combattendo con l’infame freddezza di chi si nega nell’inconscio più profondo del ventre.

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Per Marco sono una dea da sporcare di passione – la sua. Non mi ha mai violato il culo – questo suo rispetto assurdo non l’ho mai  sopportato e mi ha spinto, spesso, a farmi  sfondare da altri uomini che credono poco alle dee da adorare. Non mi ha mai tradito – neanche  quelle volte in cui gli ho proposto senza alcun tabù di farlo in tre con un’amica di passaggio.

La sua fedeltà mi fa paura e mi dà la nausea perché mi appesantisce di mille responsabilità sentimentali che non voglio avere.

Mi controlla di continuo. Piomba a casa mia all’improvviso, senza avvertire, nelle ore più impensabili del giorno e della notte. Vuole indagare, vuole controllarmi a vista e, quando si rassicura della mia devozione al suo cazzo, comincia a leccarmi dappertutto, mi toglie le mutande e mi fotte senza chiedersi se io ne ho voglia o no.

Forse è anche perché non vuole incularmi che, quando mi ficca, ho bisogno di volare alto, altrove con la mente, di non pensare che sia lui a montarmi nella realtà. Per bagnarmi e venire sono costretta a pensare alle situazioni più oscene. Mi sono fatta inculare da ogni tipo di essere vivente sulla terra, nelle mie fantasie…

All’ennesima irruzione di Marco in casa mia, l’ho lasciato fare. Ho mantenuto la calma, gli ho sorriso e ho aperto le gambe, secondo il solito copione. Ero così stanca… l’ho incassato chiudendo gli occhi e spaziando con la mente.

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Mi chiedevo: “Come faccio a dirglielo? Come…?”.

Era così caro e così palloso, dopo quattro anni. Gliel’ho menato come una crocerossina per niente in vena di straordinari. Lo mangiavo a fatica alternando denti e lingua per sembrare più convincente. Quanto avrei voluto concludere tutto con quella pompa…

M’ha innervosito la spacca profumata con lingua, mani e nerbo duro.   Si rintanava con amorosa arroganza nel mio nido bollente e io sognavo d’essere bucata da qualcun altro. “Entra… entra pure…” pensavo.

Gliela davo per vigliacca abitudine. Gesti meccanici, parole già dette tante volte… Scavava a cucchiaio, raccoglieva umori a pecorina, lo cavalcavo svogliata. Detesto vivere a metà così l’ho fatto entrare tutto, fino alle palle. Non ha mai voluto incularmi ma quella volta, mentre mi fotteva, l’ho agguantato e l’ho fatto scivolare nel buco proibito. Pompava, pompava, pensando di darmelo in fica. Quando se n’è accorto si è fatto tutto rosso in faccia ma era ormai perfettamente inutile stapparsi. Colavo da dietro che non vi dico.

“Dai… sborra…” gli ordinavo io e mi sporcava la faccia. Conosco perfettamente i suoi tempi d’orgasmo. Sotto la doccia ho giurato a me stessa: “Domani lo mollo… anche se è uno dei cazzi più duri e testardi che io abbia mai incontrato…”.

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